martedì 3 novembre 2015

Recensione a "La Sentinella" di Claudio Vergnani

Leggere La Sentinella, il romanzo di Claudio Vergnani pubblicato da Gargoyle Books, mi ha fatto provare sensazioni simili a quelle che di solito mi davano i libri di Philip Dick, uno fra tutti: Le tre stimmate di Palmer Eldritch. Inquietudine per via dell'ambientazione post-apocalittica che, volente o nolente, rende visibili i peggiori incubi sul futuro, e, allo stesso tempo, familiarità, perché il protagonista è un uomo "comune" che, pur trovandosi in una situazione fuori dal comune, in qualche maniera riesce a mantenere la propria umanità.

Se da un lato La Sentinella è un romanzo distopico che segue la miglior tradizione da Wells a Matheson, fino a Orwell, Vonnegut, Bradbury e Dick stesso (per citare solo alcuni famosissimi fra tanti altri autori molto noti anche grazie a svariate trasposizioni cinematografiche delle loro opere), dall’altro si tratta di un testo nel quale la frattura tra l’umano e il mostruoso è portata all’estremo e rievoca orrori profondi, simili agli abissi spirituali che nelle agiografie corrispondono alle tentazioni dei santi e nelle canzoni di gesta alle prove sopportate dai guerrieri. Abissi che, del resto, appartengono a noi tutti e dei quali abbiamo prima o poi fatto esperienza, seppure in contesti molto più "quotidiani".

Questa, perciò, non vuole essere tanto una recensione, quanto una serie di brevi note di viaggio: il viaggio che ho fatto seguendo le orme del protagonista fra cimiteri, deserti, cripte, cunicoli e altri luoghi infestati da insetti e predatori di varia foggia che ne saggiano, in un crescendo spietato e avvincente, la resistenza fisica - ma soprattutto la rettitudine d'animo - e che si ricollega al motivo per il quale all’inizio ho tirato in ballo Dick e il suo Palmer Eldritch.

Citando Carlo Pagetti, che nella prefazione all'edizione italiana dell'opera di Dick (Fanucci, 2003) parla di "cupo fascino metafisico", direi infatti che anche il romanzo di Vergnani emana questo genere di fascino praticamente a ogni voltar di pagina semplicemente perché La Sentinella è un racconto metafisico, nel senso più "ortodosso" del termine, dal momento che narra di una riconquista della dimensione umana in un mondo che di umano non ha quasi più nulla.

Inoltre, se il Barney Mayerson dickiano è immerso in una pseudo-realtà generata dalla droga spacciata dal demoniaco Palmer Eldritch, il protagonista senza nome del romanzo di Vergnani si muove, a sua volta, in un mondo devastato dal compimento della più grande delle illusioni (la vittoria del Bene sulla Terra)e dominato da un'istituzione religiosa, la Chiesa Cattolica, il cui capo sembra essere un vecchio più in odore di alcolismo che di santità.

Un Pontefice imbelle, rammollito dal ruolo che indossa, al pari delle proprie scarpette rosse, le quali si riveleranno completamente inadatte ad affrontare le impervie strade del mondo reale che sarà obbligato a percorrere per sfuggire a un Nemico forse imparentato con antichi principi infernali o, più semplicemente, schiacciato dai fantasmi del Potere, il dio che tutto divora.

Sarà, infatti, per salvare il Papa dagli intenti cannibali di una Sentinella traditrice che il nostro "Milite Ignoto", dopo essersi formato tramite un durissimo allenamento intrapreso allo scopo di dare un senso alla propria esistenza ed essere entrato nell'Ordine, affronterà una serie di prove se possibile ancora più dure, che ne testeranno il coraggio, la volontà, la lealtà, l'umiltà e la capacità di accettazione di misteri nei quali non è lecito penetrare se non con una trasformazione interiore tanto radicale del proprio essere da potersi chiamare "morte", e infine approderà a una coscienza di sé pienamente umana, un risveglio dalla grande illusione del Potere che gli consentirà di togliersi dalle spalle il fardello (il Pontefice, nel romanzo, ma fuor di metafora anche il perenne conflitto fra riporre la fede in qualcosa di altro da sé stessi o abbandonarsi alla fiducia in ciò che si è) e di fare ritorno a casa.

Di più: ne La Sentinella Vergnani è capace di non cedere alla tentazione di passare dalla distopia all'ennesima utopia e, pur offrendoci descrizioni vivide e puntuali non solo della lotta spirituale che la Sentinella sostiene dalla prima all'ultima riga del romanzo, ma anche dell'addestramento al quale si sottopone l'aspirante soldato di Dio - un training che assomiglia parecchio a quello di certi corpi militari speciali, francesi e statunitensi, nonché alle pratiche in voga presso vari ordini di monaci guerrieri impegnati in Terra Santa, su entrambi i fronti, diversi secoli fa – resta sempre attaccato alla dimensione umana dei propri personaggi, privilegiando le voci che vengono dal "basso" e rendendo, invece, grotteschi coloro che per sentirsi forti hanno bisogno di ammantarsi di apparati ideologici, finendo addirittura col credersi dei o demoni.

Altra caratteristica interessante nel romanzo di Vergnani, infatti, è la voce ironica del protagonista che si rivela un'arma forse più potente della prestanza fisica e di altre virtù, tanto da essere risolutiva durante il duello finale con il proprio doppio malvagio (Jaromir è il Doppelgänger della Sentinella) quando gli evita di cadere nel più pericoloso dei tranelli: accettare di diventare "l'Eletto", ovvero ciò che l'Avversario si attende da lui, e soccombere così all’orgoglio (il peccato di Lucifero).

È dunque questo che, oltre al ritmo narrativo e alla tensione di alcune scene, ho apprezzato ne La Sentinella e che mi farà leggere altre opere dell'autore: lo sguardo ironico, talvolta dissacrante, e l'idea che la potenza sovversiva della semplicità umana, con le sue debolezze e i suoi limiti, sia davvero l'unica cosa per cui valga la pena combattere. 


Per leggere questa recensione su La Tela Nera fai clic qui.

martedì 29 settembre 2015

Sui Vampiri morali, ovvero dei parassiti della vitalità altrui

Possono trovarsi ovunque. Possono essere chiunque: vostra madre, vostro padre, vostra moglie, vostro marito, perfino un figlio, o il vostro superiore, l'amico, il conoscente ... Insomma, esistono davvero e voi, con la vostra vitalità, siete il loro cibo. 
Sono questi i "vampiri morali" dei quali ci parla - per esperienza diretta - Pier Marrone, professore di Filosofia dell'Università di Trieste, nel suo articolo su "Maintenant"

Non ci credete?

Allora, leggete qui...

Esistono i vampiri: quello che vorrei dirvi potrebbe essere sintetizzato in questa sola frase. Senza presunzione, me ne sono reso conto da molto tempo con chiarezza, ma non intendo convincervi di qualcosa che voi non avete mai preso in considerazione, quanto cercare di farvi vedere con occhi diversi qualcosa che, ne sono convinto, fa parte anche della vostra esperienza.


sabato 1 agosto 2015

Il compagno segreto di Joseph Conrad su Harper's Magazine


"The secret sharer" di Joseph Conrad usciva per la prima volta 105 anni fa sui numeri di Agosto e Settembre di Harper's Magazine.
Questo è un piccolo estratto dalla rivista newyorkese che abbiamo trovato in Conrad First, un fantastico archivio digitale pubblico,
realizzato da Stephen Donovan, Ricercatore presso il Dipartimento di Inglese dell'Università di Uppsala (Svezia) nel quale si possono
sfogliare tutti i periodici che hanno pubblicato le opere di Joseph Conrad.
Conrad First è affiliato a The Joseph Conrad Society (UK), l'ente che dal 1973 si dedica allo studio delle opere e della vita di Joseph Conrad.








 

domenica 12 luglio 2015

Contest fotografico "Doppelgänger": ecco la foto che ha vinto

Il vincitore del contest fotografico "Doppelgänger", promosso dalla nostra Pagina Facebook è Dario Pellegrino.
La sua foto "Uguali come due gocce" ha totalizzato più di 260 like!Ringraziamo Dario - che come premio ha scelto la pubblicazione di un book fotografico delle proprie foto su ISSUU - e tutti i partecipanti, le cui fotografie saranno raccolte nel book del concorso. 
Per noi di "The Secret Sharer" è stata una bellissima esperienza vedere come avete interpretato visivamente il tema del "Doppio": c'è chi ha seguito la suggestione del numero "2", chi ha colto maggiormente l'aspetto legato all'Ombra, chi ha focalizzato la propria attenzione sullo sguardo, sul riflesso di se stessi... Insomma, siamo talmente soddisfatti di come avete risposto che stiamo già pensando alla prossima iniziativa...  Stay tuned!


 
Uguali come due gocce - foto di Dario Pellegrino



La copertina del book (di prossima pubblicazione) con le foto che hanno partecipato al contest.


martedì 9 giugno 2015

The Secret Sharer - Il Compagno Segreto lancia un contest fotografico su Facebook

Ebbene sì, solo due righe per dire che ci potete trovare (e noi speriamo che ci troviate) anche su Facebook
Abbiamo appena lanciato un contest fotografico sul tema del "doppio" che funziona così: 
1) si manda la foto alla Pagina via messaggio, completa di titolo; 
2) si votano le foto (esclusa la propria) che noi raccogliamo nell'album "Doppelgänger"
3) chi vince, cioè chi riceve più "like", può scegliere fra una copia del romanzo di J.Conrad (che provvederemo a spedire a casa) e un book delle proprie foto su ISSUU

Insomma: partecipate numerosi, mandate le vostre foto, votate e - soprattutto - date voce al vostro lato insolito, nascosto, segreto, imprevedibile!




sabato 28 marzo 2015

Dracula di Bram Stoker: un mix perfetto fra storia, tradizione popolare e letteratura

A seguito di romanzi e film – da “Intevista col vampiro” a “Twilight”, al “Dracula” di Coppola - i signori delle tenebre hanno ripreso possesso del nostro immaginario fantastico e, di conseguenza, il “padre letterario” di questi moderni succhiasangue è stato richiamato in vita. Sul “Dracula” di Bram Stoker si è scritto di tutto e di più, spesso associandolo alla figura storica di Vlad III l'Impalatore (Tepes vuol dire proprio questo) e, altrettanto spesso, portando avanti l'immagine del Conte vampiro come mito “romantico”. In questo articolo, invece, troverete qualcosa di diverso: una serie di spunti di interpretazione del romanzo di Stoker sotto l'aspetto storico-folclorico, politico, psicologico ed estetico. 


Quanto il Dracula di Stoker “assomiglia” alla figura storica di Vlad Tepes e quanto è coerente con la tradizione folclorica dell’epoca nella quale visse il voivoda

Innanzi tutto, partiamo da una prima distinzione: quella fra vampiro letterario e vampiro folclorico.
Laddove in letteratura, dal Lord Ruthven de “Il vampiro” all’Edward di “Twilight”, abbiamo la figura del gentiluomo, dandy aristocratico o comunque, per riferirsi appunto a personaggi contemporanei, prototipo del “bello e dannato” e schiere di fanciulle avvenenti dal fascino perverso (ad esempio Geraldine di Coleridge, Carmilla di Le Fanu, fino a tutte le recenti “sorelle di sangue”), i vampiri della tradizione popolare – e qui ci riferiamo in particolare al folclore greco e balcanico di epoca bizantina e post-bizantina, cioè il periodo nel quale visse Vlad Tepes – sono cadaveri ambulanti più simili agli zombie (se vogliamo un riferimento cinematografico), spesso gonfi come palloni e dalla faccia rubizza.

I vampiri delle leggende, insomma, non sprizzano fascino da tutti i pori ma – molto più banalmente, visto che sono cadaveri, per quanto piuttosto vivaci – liquami orribili e servono, in particolare al clero, come memento ai fedeli per ciò che può succedere al cristiano che muoia scomunicato o comunque non in grazia di Dio.

Un vrykolakas secondo la tradizione popolare balcanica

Altra cosa interessante: i vampiri della tradizione popolare greca e balcanica non sempre bevono sangue (quelle sono alcune varietà di streghe), e quindi fra i revenants i casi di ematofagia sono rarissimi. I vrykolakes o i tympanaioi, se proprio devono bere qualcosa, spesso preferiscono il latte, motivo per il quale sfiniscono il bestiame mentre con i viventi, anziché attaccarli alla giugulare, attaccano briga, nel senso che li prendono a pedate o a pugni, oppure, semplicemente, li spaventano.
Pochi sono i riferimenti a morsi “infettivi” - che nella letteratura, invece, sono l’unico sistema per diventare vampiri - perché nella tradizione popolare il vampiro era considerato sì, causa di epidemie, ma non di epidemie vampiriche, quanto della diffusione di morbi come la peste. [1]

Un vampiro letterario come il Dracula di Stoker, perciò, quando presenta agganci folcloristici relativi al periodo nel quale visse Vlad Tepes, non lo fa tanto riguardo alle trasformazioni del Conte in lupo o pipistrello, che nelle leggende non erano specifiche prerogative del vampiro ma della strega, del negromante e di altri esseri demoniaci, quindi di personaggi afferenti al mondo delle tenebre ma non classificabili fra i revenant, quanto riguardo alla questione dell’origine del vampiro. Come abbiamo detto, le leggende riportano che un cadavere può rianimarsi per due motivi:
  1. perché in vita la persona era stata cattiva, violenta e sanguinaria ed era morta senza potersi redimere, diventando così facile preda di qualche demone;
  2. perché in vita la persona era stata scomunicata, tanto è vero che in alcune zone della Grecia e dei Balcani, “eretico” era sinonimo di vampiro.
 
Pare proprio che il nostro Vlad rientrasse almeno nel primo dei due casi citati sopra.
Il fatto è, però, che seguendo la tradizione, una volta morto, il cadavere di Vlad non sarebbe mai potuto passare per quello di un dandy nemmeno al più sprovveduto degli occidentali e forse ci saremmo trovati di fronte a un Conte zombie dalla pancia gonfia.

Cosa significa questo? Significa che Stoker, come tutti gli scrittori, ha attinto da più fonti e ha unito alla materia storica e folclorica quella già letteraria e molto più “glamour”, presente nel personaggio di Lord Ruthven, ovvero il protagonista della novella “Il vampiro” (1819) di John Polidori e del “sequel” di Charles Nodier, “Lord Ruthven il Vampiro” (1820).

John William Polidori (1795-1821)

George Gordon Byron (1788-1824)


Il Vampiro è un invasore: spunti di riflessione per una lettura “politica” di “Dracula” di Bram Stoker

Se teniamo conto che Lord Ruthven era ispirato a Byron, bello, giovane, libertino e tombeur de femmes, capiamo allora perché Mina Harker (come le fanciulle sedotte e abbandonate da Ruthven) non fosse riuscita a resistere al fascino “oscuro” del Conte vampiro, nonostante (diversamente da quanto mostrato nel film di Coppola) non se ne fosse mai innamorata e di primo acchito non le fosse sembrato particolarmente avvenente.
Già, perché la prima volta che Mina vede Dracula, lo descrive così:  
“(…) un uomo alto, magro, dal naso a becco, baffi neri e barba a punta (…) Non aveva certo un volto onesto: il suo era un viso duro, crudele, sensuale, e quei grandi denti candidi, che tanto più bianchi apparivano perché così rosse erano le labbra, erano aguzzi come quelli di un animale. [2]
In effetti, il resoconto sull’aspetto fisico del Vampiro ci fa visualizzare subito il famoso ritratto di Vlad, nel quale il naso adunco, lo sguardo duro e i baffi neri sono tratti che balzano subito all’occhio.

Vlad III di Valacchia (1431-1476)


Ma allora, Mina si lascia sedurre da un uomo dall’aspetto quasi ferino oppure viene “presa con la forza”? Nella scena descritta da Seward [3] e nelle successive lamentazioni della vittima a Van Helsing, ci sembra di dover propendere per la seconda ipotesi, ma sta di fatto che una parte di lei, quella in contatto diretto, telepatico, con Dracula, collabora attivamente e accetta le “nozze di sangue” proposte dal Conte.

Dobbiamo supporre, dunque, che la visione riportata dai due uomini sia parziale, o quanto meno, non possa essere diversa e che Mina stessa, interpellata in merito, vi si conformi per non rischiare di subire lo stesso trattamento che essi hanno riservato a Lucy?

Immaginiamo che uno Straniero dai tratti somatici molto diversi da quelli degli autoctoni arrivi in un certo Paese e cerchi di sedurne le donne, le stesse donne che, rappresentando una “proprietà”, hanno garantito “continuità e purezza” della razza… immaginiamo che queste donne, dapprima refrattarie e impaurite, alla fine cedano, catturate dalle lusinghe che lo Straniero può offrire, cioè giovinezza imperitura, assenza di coercizioni moralistiche, possibilità di vivere da “protagoniste” e non semplici “assistenti” al fianco di un uomo. La forza di seduzione e – mi si passi il termine – “penetrazione” di questo Straniero nell’assetto sociale sarebbe enorme e agli uomini, per mantenere lo status quo, non resterebbe che tentare di annientarlo.

Lucy (Sadie Frost) e Mina (Winona Ryder) in una scena del film di Coppola "Bram Stoker's Dracula" (1992) sfogliano "Le Mille e una Notte" (Arabian Nights), la famosa raccolta di novelle orientali. Questo era un libro proibito per la morale vittoriana perché le fanciulle vi avrebbero trovato argomenti considerati poco edificanti: avventura, erotismo e soprannaturale.

Se questo può essere uno dei molteplici piani di lettura che “Dracula” offre, allora l’opinione dei personaggi di Stoker è piuttosto chiara e, per certi versi, incredibilmente attuale: la “contaminazione” (culturale e del sangue) - oggi in maniera molto più politically correct diremmo il melting pot - per quanto possibile va evitata, anche se il nuovo si presenta come soggetto economicamente e culturalmente interessante (il Conte è ricco e uomo di cultura).
Ma come è possibile farlo? La potenza dell’invasore straniero è sterminata…
Ecco che, allora, Stoker rimette in equilibrio le forze opponendo a Dracula un altro straniero, Van Helsing, che funge da alter ego e – seppur alla luce di una speciale “metafisica scientifica”, perfettamente in linea con il doppio binario del pensiero dell’epoca: non solo scienza, ma anche spiritismo e misticismo – darà all’oscuro signore… pane per i suoi denti. [4]


Abraham van Helsing (Anthony Hopkins) nel Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola.



Il Vampiro è un sovversivo: spunti di riflessione per una lettura “psicologica” del “Dracula” di Bram Stoker

Stoker amplifica – se così si può dire – i poteri di Dracula rispetto, per esempio, a quelli di Lord Ruthven.
Dracula, infatti, come accennato sopra, incarna un enorme potere sovversivo: oltre al fatto che di per sé il vampiro è in grado di sovvertire l’ordine del cosmo facendo della morte una non-morte, il Conte è anche un aristocratico che sfida apertamente la società borghese occidentale e la sfida proprio su un terreno che essa crede di controllare in modo scientifico: la sfera delle emozioni e della sessualità.
Dracula, agli occhi del medico e dello scienziato positivista, tanto più a quelli dell’uomo d’azione d’Oltreoceano, è nulla più che una leggenda oscura, un incubo riemerso dalle profondità del tempo e come tale va trattato, ovvero opponendogli i lumi di una sana razionalità.

La sorpresa e il senso di impotenza perciò sono enormi quando, per esempio, il “male” che si è impossessato di Lucy tiene tutti in scacco e la follia irrompe nella quotidianità travolgendo e sovvertendo ogni regola. La gentile fanciulla di prima, amante della vita, si è trasformata in un mostro assetato di sangue, che rapisce bambini e non esiterebbe a sedurre e uccidere ciascuno dei suoi pretendenti, fidanzato compreso.

Possiamo allora vedere in Arthur il giovanotto di buonissima famiglia che, dopo aver perso la testa per una ragazza dai costumi troppo “facili”, alla fine ritorna in sé (uccidendo quell’immagine di donna fatale che l’avrebbe irrimediabilmente traviato e spinto ai margini) e riprende il proprio posto nella società?

La scena dell’annientamento di Lucy ha, a tratti, il sapore di un rito di iniziazione e di esorcismo nei confronti di un demone femminile, come potrebbero essere la Lilith giudaica o la stessa dea Khali.
È lui, il promesso sposo, a dover piantare il paletto nel cuore dell’amata-vampiro e lo fa guidato dal sacerdote (Van Helsing) e circondato dagli altri uomini del clan. Non è quindi un caso che poi Arthur, morto suo padre, prenda il titolo di Lord Godalming: dopo l'annientamento di Lucy è divenuto adulto a tutti gli effetti.

Arthur (Cary Elwes) pianta il paletto nel cuore di Lucy (Coppola, 1992)


A dir la verità, però, Lucy non è la prima vittima di Dracula. La prima vittima è Jonathan Harker, che soccombe al Conte in modo piuttosto ambiguo.
Dracula, infatti, lo reclama per sé e lo strappa alle grinfie delle sue concubine vampire; è allora che Harker capisce di non poterlo combattere: il Conte è troppo forte e l’unico modo per salvarsi è fuggire.
Da cosa sta fuggendo Harker? Forse dalla presa di coscienza che davanti a sé ha un matrimonio che “crede” di desiderare, quando invece la sua natura lo porterebbe a fare esperienze di tipo ben diverso?

Jonathan Harker (Keanu Reeves), ormai preda delle tre vampire, viene sorpreso (e salvato) da Dracula (Coppola, 1992)


E Mina Harker, dopo aver conosciuto Dracula, non è forse dibattuta fra lo scegliere una vita tranquilla, da donna sposata e un futuro sicuramente più avventuroso e passionale?

Mina (Winona Ryder) sedotta da Dracula (Gary Oldman) in una famosissma scena del film di Coppola (1992)


Non si può interpretare “a posteriori”, d’accordo, ma teniamo conto che quando esce il romanzo di Stoker, gli studi sull’isteria e l’ipnosi sono già ben che avviati e la rivoluzione di Freud è alle porte. Le lacerazioni dell’anima, l’irrompere delle forze dell’inconscio e la progressiva diffusione del morbo depressivo (il male oscuro, prerogativa della classe borghese) del resto, presentano sintomi che assomigliano in maniera inquietante al deliquio nel quale Dracula lascia le proprie vittime.


Il Vampiro è un seduttore: spunti di riflessione per una lettura “estetica” del Dracula di Bram Stoker

È il cadavere di un uomo dall’aspetto ferino, è spietato, crudele e incute un terrore folle in chiunque lo incontri… ma allora perché piace così tanto? Cos’è che lega al Vampiro in una intensissima relazione di attrazione-repulsione non solo i personaggi del romanzo di Stoker, ma sterminate legioni di lettori (e scrittori)?

Per iniziare, possono risultare illuminanti le considerazioni di Gianni Pilo, nella prefazione a “Storie di Vampiri”: 

“Attraverso la macabra e grottesca figura onirica del vampiro l'uomo ha dato forma e consistenza ad un suo prometeico sogno di immortalità, che la morte continuamente dissolve. L'immagine di un essere notturno resuscitato dalla tomba che solitario si aggira tra il mondo addormentato dei vivi per suggerne il sangue, affascina e insieme terrorizza. È il fascino e il terrore che proviene dalle tenebre del demoniaco verso il quale l'uomo, in rivolta contro la propria morte, si rivolge per proiettare fuori di sé i mostri immortali che placano il suo desiderio di vivere al di là del consentito.” [5]

Louis (Brad Pitt) in "Intervista col vampiro" di N. Jordan (1994)


Ma non solo, come ricorda anche Iris Gavazzi [6] nel suo saggio su quella che viene definita una vera e propria categoria, ovvero il “vampiresco”, ciò su cui si erge la figura del vampiro è, innanzi tutto, la paura, leva estetica principe del romanzo gotico, poiché contribuisce a suscitare quel sentimento del sublime che, dal Settecento in avanti, diventa una delle questioni fondamentali della filosofia estetica.
Burke [7] e, successivamente, Kant [8] ne parlano come dell’ “orrendo che affascina”, di tutto ciò che produce la più forte sensazione che l’animo umano sia capace di provare ma che, a differenza del bello, il quale può essere semplicemente (e asetticamente) contemplato, scatena in noi la coscienza di essere a contatto con una potenza (quella degli elementi naturali, ad esempio) e di esserne inevitabilmente sovrastati.

In secondo luogo, abbiamo il brutto. Nel Settecento e nell’Ottocento l’arte – e quindi anche la letteratura – inizia ad accogliere in maniera esplicita la bruttezza e la considera importante tanto quanto la bellezza. Filosofi come Rosenkranz [9] (allievo di Hegel) – ma, andando a ritroso, citerei anche De Sade – comprendono perfettamente che l’arte non può più limitarsi a rappresentare il bello, ma anzi, vista la tendenza a raggiungere masse sempre più estese, deve scendere nei “bassifondi”, come direbbe Baudelaire, per esplorare il lato brutto e perfino mostruoso dell’esistere.

In conclusione, dunque, il Vampiro piace perché si trova al confine (e non appartiene completamente) a nessuna delle coppie di opposti che spezzano la nostra identità: bello e brutto; buono e cattivo; vero e falso; vita e morte in lui convivono con mirabile equilibrio pur non essendo egli un dio ma una strana evoluzione dell’essere umano. E, in un mondo nel quale gli dei, gli eroi e i super-eroi, sono quasi tutti definitivamente morti, non è cosa da poco. 

Per vedere questo articolo pubblicato su La Tela Nera, fai clic qui.



martedì 24 marzo 2015

Brividi da due soldi: “Penny Dreadful” di John Logan, ovvero dell'assoluta umanità dei mostri

In questo saggio parleremo della prima stagione di “Penny Dreadful”, serie TV di genere horror, ambientata nella Londra del 1891, che racconta le imprese di un gruppo di persone piuttosto particolari, impegnate nel ritrovamento della figlia del loro leader, rapita da un malvagio Vampiro.



Introduzione
Shakespeare, Stoker, Haggard, Conrad, Allan Poe, Lovecraft, Stevenson, Goethe, Wilde, Sade, Shelley, Leroux, la Bibbia, il Vangelo e il Libro dei Morti egizio, Nietzsche e Rymer: tutto questo e anche di più possiamo trovare in “Penny Dreadful”, la serie TV scritta da John Logan e trasmessa via cavo su Showtime a partire da maggio 2014, che di successo sicuramente ne ha avuto visto che, dopo la prima Stagione, è già in produzione la seconda (uscita prevista: maggio 2015). 
Ma andiamo con ordine e, per prima cosa, vediamo cosa significa penny dreadful.

“Penny Dreadful” tradotto alla lettera suona più o meno come: “Spaventi da un penny”. I penny dreadful, l'omologo britannico dei dime novel americani, dei feuilleton francesi e dei romanzi d'appendice italiani, erano pubblicazioni periodiche di epoca vittoriana, per lo più settimanali, che costavano poco (un penny, appunto) e proponevano storie a base di sangue e violenza (dreadful = spaventoso, orribile).
Pur considerati dai contemporanei letteratura di basso livello, secondo alcuni critici moderni i penny dreadful furono i precursori europei dei romanzi pulp, diffusi negli USA durante gli anni Venti (il cui genere sarà recuperato soprattutto negli anni Novanta da autori come Palahniuk) e perciò testimoniano una fase interessante della “popolarizzazione” di generi letterari come il gotico.
Oltre a Varney il vampiro, O il banchetto di sangue (1845-1847) - citato nella serie e scritto da James M. Rymer - un altro penny dreadful famoso fu Sweeney Todd, al quale si ispirò anche Tim Burton per il suo film Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), la cui sceneggiatura fu scritta proprio da John Logan. Lo stesso Logan che aveva già lavorato con registi come Ridley Scott (Il gladiatore) e Martin Scorsese (The Aviator e Hugo Cabret) candidandosi per tre volte all'Oscar.

Varney il Vampiro, di J.M. Rymer (1814-1884)



Sweeney Todd, assassino seriale britannico (1756-1802) realmente esistito.



“Penny Dreadful” è un’opera davvero ben riuscita perché, oltre a chiamare a raccolta le più famose “star” della letteratura e del cinema horror, riesce anche ad essere una riflessione – a tratti perfino poetica – sull'idea di mostruoso (o almeno, su ciò che noi umani siamo soliti definire tale) senza mai perdere la tensione e scadere nel “polpettone”.
Del resto, come dichiara John Logan medesimo in una delle video-interviste pubblicate sul sito ufficiale della serie, “Penny Dreadful” è nata in un periodo di assidue letture poetiche “a tema” e quindi non è un caso che i riferimenti letterari siano molti, sia per quanto riguarda la costruzione dei personaggi che per lo sviluppo della trama.
Personaggi dei quali parleremo a breve, fornendo alcuni spunti per rintracciarne le origini letterarie, non senza inserire a corredo un piccolo profilo dedicato a ciascun attore. 

I personaggi

Il vampiro, la posseduta dal demonio, il cadavere rianimato, il lupo mannaro, il libertino immortale, sono tutte maschere che – gli appassionati di horror lo sanno da tempo – possiamo usare per incontrare i nostri mostri interiori senza correre il rischio di identificarci con essi e metterci, così, al riparo proprio dall'effetto che la paura troppo intensa (di tale incontro) potrebbe scatenare: la follia. Perché un conto è vedere il mostro fuori da se stessi, un altro è sentirlo dentro. Meglio sdoppiarsi, dunque, ed evitare di impazzire.


I temi della doppiezza e della follia in “Penny Dreadful” sono sempre presenti, come del resto lo sono nelle opere [1] di quel lontano mondo, apparentemente tanto diverso dal nostro. Doppiezza e follia che si incarnano in maniera piuttosto pervicace in Sir Malcolm Murray e Miss Vanessa Ives, ma che disegnano nitidamente anche i contorni di Victor Frankenstein, risplendono nei seducenti sorrisi del narciso Dorian Gray e seguono come ombre Ethan Chandler, l'americano dal passato misterioso che, oltre a rievocare il Quincey Morris stokeriano, nel corso della storia svela allo spettatore lati di sé talmente sorprendenti da renderlo il più enigmatico e, insieme, affascinante del quintetto.

Ma non basta. I personaggi di "Penny Dreadful", compresi i comprimari, si prestano anche a rappresentare i principali aspetti storici, sociali e culturali dell'epoca vittoriana: l'imperialismo e il colonialismo, il positivismo scientifico, lo sviluppo tecnologico, la rivoluzione industriale, e – contemporaneamente – estetismo e decadentismo, la crisi dell'uomo di fronte ai misteri della vita e della morte e la ricerca delle risposte nel mondo dell'occulto, la sottomissione della donna, la condanna dell'omosessualità, gli studi sulla follia e l'avvento della psicanalisi.

Vi siete incuriositi? Bene, allora andiamo a conoscerli da vicino, questi mostri!

 
Penny Dreadful, Prima Stagione (2014)
 

Sir Malcolm Murray: imperialismo, colonialismo e scienze occulte
Costruito sul modello del famoso esploratore e console britannico Sir Richard F. Burton [2], al quale Timothy Dalton assomiglia fisicamente in modo impressionante, Sir Malcolm rappresenta l'uomo di potere che si riconduce al prototipo del grande cacciatore bianco, presente anche in Allan Quatermain, il protagonista de Le miniere di re Salomone di Haggard (1885), nonché simbolo della superiorità degli Stati europei, e in particolare dell'Impero britannico, sui popoli dell'Africa e dell'Asia.

Di Sir Malcolm, infatti, sappiamo che pianta vessilli e bandiere sulle vette africane in onore di Sua Maestà e che è abituato a dare ordini e a farsi obbedire. Ha una moglie che passa l'esistenza ad attendere il suo ritorno e due figli che lo adorano: Peter, ragazzo timido e malaticcio, che non si sente all'altezza di cotanto padre e vorrebbe seguirlo in Africa per dimostrargli il proprio valore, e Mina, la fanciulla dolce e remissiva, che sogna di sposare un uomo tale e quale al papà.

Eppure, il nostro avventuroso cavaliere ha anche il suo indubbio lato oscuro: se, all'inizio della vicenda, appare come un padre disperato al quale un principe delle tenebre ha rapito e nascosto chissà dove la figlia Mina, durante i flashback successivi scopriamo che è un fedifrago, un opportunista che entra nel mondo dell'occulto con lo stesso piglio da conquistatore che è solito mostrare nei villaggi africani, quando spaventa gli uomini con la frusta e prende le donne a suo piacimento.

Sarà per tutte le volte che si è trovato faccia a faccia con la morte, laggiù in Africa, e per la strenua lotta che deve sostenere contro i propri sensi di colpa per aver abbandonato il figlio morente pur di portare a compimento la spedizione per trovare le sorgenti del Nilo, ma Sir Malcolm ci appare come un uomo freddo e determinato, il cui doppio malvagio si manifesta anche nel suo ambiguo rapporto con Vanessa Ives, l'ex-migliore amica di Mina che, grazie a poteri medianici di dubbia origine, pare riuscire a entrare in contatto telepatico con la ragazza. Sir Malcolm, infatti, usa Vanessa (che a sua volta si lascia usare) per scoprire dove il Vampiro ha nascosto Mina e, nonostante a un certo punto la donna rischi di soccombere (proprio come il figlio Peter) egli persiste, concentrato sul proprio obiettivo, senza temere il giudizio altrui o l'orrore che sta sfidando.
Ed è anche per questo, dunque, che ci ricorda un po' il colonnello Kurtz di Apocalypse Now nel suo monologo [3]
“(…) Ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei, ma non avete il diritto di chiamarmi assassino, avete il diritto di uccidermi, questo sì, avete il diritto di farlo ma non avete il diritto di giudicarmi. Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario, a coloro che non sanno cosa significhi l’orrore. L’orrore. L’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore (...)”. 

Sir Richard Francis Burton (1821-1890)
Sir Malcolm Murray, interpretato da Timothy Dalton
Allan Quatermain, interpretato da Sean Connery nel film "La leggenda degli uomini straordinari" (2003) ispirato al fumetto di Alan Moore "La Lega degli Straordinari Gentlemen" (1999).


Timothy Dalton

Nato a Colwyn Bay (Galles, UK) il 21 Marzo 1944. Già attore teatrale e televisivo, diventa famoso anche al cinema nella parte di James Bond (007 -Zona pericolo, del 1987, e 007 – Vendetta privata, del 1989). Timothy Dalton ha recitato in diversi film drammatici e in varie serie TV ma prima di “Penny Dreadful”non ha al suo attivo partecipazioni in pellicole prettamente horror, ad eccezione della serie TV HBO “I racconti della cripta (1989-1996) e “Hot Fuzz” (2007) che mescola vari generi, tra cui l'horror. 


Sembene: il guerriero e l'angelo custode

Con le guance decorate da cicatrici rituali, Sembene è un possente africano che affianca Sir Malcolm nella sua impresa come maggiordomo, confidente e guardia del corpo. È sempre calmo e parla lo stretto necessario, ma è chiaro che tutto osserva e molto sa, probabilmente più di quanto dia a vedere. Ricorda un po' Umbopa (Ignosi), il forte guerriero zulu che accompagna Allan Quatermain nelle sue avventure. 

Paul Robeson interpreta Umbopa in "King Solomon's Mines" di Stevenson (1937)

Danny Sapani interpreta Sembene


Danny Sapani

Nato a Londra (UK) il 15 Novembre 1970. Attore televisivo, cinematografico e teatrale, ha recitato in “Teorema di un delitto” di de la Iglesia (2008) e molti altri film di genere thriller/drammatico, oltre che nella famosa serie TV “Doctor Who” (2005-2008). Oltre a “Penny Dreadful” Sapani non ha partecipato a altre pellicole horror, né al cinema, né in TV.


Miss Vanessa Ives: la regina nera, sessualità repressa e isteria

Anche il personaggio di Vanessa Ives rappresenta il potere, ma nella sua istanza femminile, percepito in forma di dominio sul “demimonde”, quindi sul mondo che sta fra la vita e la morte (o secondo il paradigma psicanalitico: l’inconscio) oppure in forma di devastazione, e perciò associato nel codice religioso alla sessualità senza freni, e quindi al Diavolo, e in quello scientifico all'isteria, e quindi alla follia.

I poteri di Vanessa, quando ella è in sé, si manifestano in modo passivo attraverso la lettura dei tarocchi e i sogni, mentre quando è posseduta dal demone, si attivano tramite la parola (Vanessa dice la verità, “scopre gli altarini” e usa un linguaggio volgare) e la libertà di costumi (Vanessa si prende un uomo, ci fa sesso e poi lo abbandona), aspetti dell'esistenza umana, gli ultimi due, che la morale – non solo vittoriana – ha sempre tentato di controllare, soprattutto nelle donne, così come ha sempre visto di cattivo occhio chi se ne serve, accusandolo, di volta in volta, di essere un folle, oppure un adepto di Satana (ricordate i processi alle streghe?).

Vanessa, nel corpo di Eva Green, risorge come un'antica sacerdotessa ossuta, algida e affascinante, simile alle donne morte delle novelle di Edgar Allan Poe: Ligeia, Berenice e Morella sono le sue gemelle letterarie, non meno di altre, come Carmilla di Le Fanu, la Bella Dama senza pietà di Keats e la Geraldine di Coleridge, vere dark lady shakespeariane che seducono senza mai concedersi fino in fondo, che ghermiscono l'anima degli uomini e poi oppongono il rifiuto forse perché la loro stessa anima è stata ghermita da una forza oscura e sensuale che trascende ogni possibilità di controllo, ma soprattutto perché in vita (o in un altro momento della loro vita, come nel caso di Vanessa) sono state vittime della brutalità degli uomini e il loro ritorno dal mondo dei morti, così come dal mondo dei folli, è uno strumento che il Fato applica all'esistenza umana ogni qualvolta deve rimettere i conti in pari: la nemesi, la giustizia compensatrice, in questo frangente agli atti di domino maschile.

 
Eppure, la cattolica miss Vanessa Ives non è solo un angelo vendicatore, è anche una donna che cammina sulla strada della sofferenza, che patisce l'internamento in manicomio (con tutto ciò che ne consegue) perché nel momento del bisogno Dio l'ha abbandonata e “qualcun altro” (il Demone) ha accolto la sua richiesta d'aiuto. Il Demone che ascolta e si prende la sua verginità (anima) promettendole in cambio potere e libertà (Vanessa sembra non dipendere da nessun uomo) ma che poi – una volta concluso il patto – come in un matrimonio, si rivela un compagno dispotico (ancora Conrad e il suo Compagno segreto, o il Mr. Hide di Stevenson) che pretende sottomissione. Sarà quindi solo il coraggio di un amico (non di un amante) a esorcizzare Vanessa – almeno momentaneamente – dai suoi drammi interiori.

Elizabeth Shepherd in "The tomb of Ligeia" (1964)

Eva Green interpreta Vanessa Ives


Eva Green

Nata a Parigi (Francia) il 6 Luglio 1980. Attrice cinematografica e modella, è diventata famosa recitando la parte di Isabelle nel film di Bernardo Bertolucci “The Dreamers” (2003) e quella della Bond girl in “Casino Royale” (2006). “Dark Shadows” di Tim Burton (2012) è l'unico horror prima di “Penny Dreadful”, anche se la vediamo nei panni della dark lady in “Cracks” (2009) e “Sin City” (2014). Lei e Dalton hanno già recitato insieme ne “La bussola d'oro” (2007).



Dorian Gray: estetismo, decadentismo e gli inganni del progresso

Il personaggio creato da Logan sulla base del protagonista omonimo del romanzo di Oscar Wilde [4] interpretato dall'angelico Reeve Carney, è l'essere più annoiato sulla faccia della terra. Vive in un appartamento che definire lussuoso è riduttivo, passa il proprio tempo fra orge di sadiana memoria e passeggiate al Crystal Palace e dopo ogni eccesso corre a controllare lo stato della propria anima, prigioniera nel famoso ritratto che gli ha regalato l'immortalità.
Dorian Gray, che in apparenza è il mostro meno mostro di tutti, sotto l'aspetto psicologico è un capolavoro di perversione, perfetto nel rappresentare l'estetismo narcisistico e decadente che si nutre di immagini e vampirizza i mortali, succhiando loro non il sangue, ma le emozioni.

Di più, Dorian Gray è un'icona della modernità, o di ciò che la modernità promette: eterna giovinezza e ricchezza, potere e sesso senza limiti morali, religiosi e fisici. Lo stato più prossimo all'onnipotenza al quale l'uomo possa ambire e che assume, nella Storia, un nome ben noto: progresso. Certo, il progresso (e il nostro Dorian non può che esserne un sostenitore: ascolta musica col grammofono e si fa fotografare – adesso potrebbe farsi un selfie – perfino durante i suoi amplessi) dicevamo, il progresso richiede un piccolo sacrificio... Lo stesso piccolo sacrificio richiesto a Faust: la cessione della propria anima.

Nel romanzo di Wilde, però, l'ingannatore non appare sotto le spoglie del diavolo Mefistofele - no, l'uomo moderno non crede più a certe cose! - ma assume le sembianze di un artista, di un intellettuale, di uno che sa comunque solleticare l'ego e ci riesce con una facilità che non ci aspetteremmo, vista l'importanza della posta in gioco, eppure... eppure, anche questa volta, l'inganno funziona proprio perché ciò che viene scambiato non ha più (apparentemente) alcun peso. E non deve avere peso, perché sapere di avere un'anima (o una coscienza, diremmo oggi) è un ingombro, un ostacolo al godimento.


Accade così che, quando il Dorian Gray di Logan (che si è già giocato l’anima ai dadi e ha perso) incrocia Vanessa Ives, son fuochi d'artificio (Goethe – di nuovo lui - le chiamerebbe affinità elettive) un po' perché nell'altro mondo hanno entrambi un padrone oscuro che li tiene al guinzaglio, un po' perché il narcisismo di lui trova la sponda ideale in quello di lei (resa speciale dal tocco del demone). Insomma, quando si dice: “chi si assomiglia, si piglia” e “nessun incontro è casuale”!


Gösta Ekman e Camilla Horn interpretano Faust e Gretchen in "Faust" di Friedrich Wilhelm Murnau (1926)



 
Reeve Carney e Eva Green interpretano Dorian Gray e Vanessa Ives


Reeve Carney

Nato a New York City (USA) il 18 Aprile 1983. Attore e cantante, ha interpretato Peter Parker nel musical di Broadway “Spider-Man: Turn Off The Dark” (2011). Al suo attivo ha qualche comparsata nei film “La neve cade sui cedri” (1999) e “The tempest” (2010). Nessun horror prima di “Penny Dreadful”.


 
Victor Frankenstein: l'uomo che volle farsi dio, o delle responsabilità di un padre

E non è nemmeno un caso che il titolo completo del romanzo di Mary Godwin Shelley sia Frankenstein, o il moderno Prometeo (1818) perché, essendo la storia del dottore-alchimista (e non del mostro che poi nella fiction prende per estensione il suo nome) che sfida le regole della Natura e riesce a creare una creatura vivente da un cadavere, richiama a buon diritto il mito classico di colui che rubò il fuoco (la scintilla della conoscenza) agli dei per donarlo agli uomini e fu punito da Zeus con un supplizio tremendo.

Nel romanzo di Mary Shelley Victor Frankenstein perde la madre in tenera età a causa della scarlattina, nel serial di Logan, invece, la donna muore di tisi, tuttavia le conseguenze sono le medesime: Victor non accetta la morte e consacra la propria esistenza alla ricerca di un sistema per vincerla. Infine lo trova e la Creatura sorge dall'acqua del bagno alchemico come da un ventre artificiale, nuda e confusa, e lo chiama “padre”. Ma Victor, che un padre non l'ha più (o forse non l’ha mai avuto) e non crede nemmeno a un dio che possa prenderne il posto, reagisce male e abbandona il “figlio”, provandone disgusto.

Tutto questo, nel serial, veniamo a saperlo solo dopo, quando Victor ci riprova e nasce Proteus, il secondogenito, una creatura gentile, legata al proprio Creatore da profondo affetto (ricambiato, questa volta) e che prende il nome dal personaggio di una commedia shakespeariana, I due gentiluomini di Verona, dedicata proprio al tema dell’amicizia. Non fosse che l'Altro, il mostro primogenito e doppio oscuro di Victor, l'abbandono non l'ha proprio mandato giù e – novello Caino – ritorna per inchiodare il “padre” alle proprie responsabilità, uccidendo il fratello e pretendendo che gli si trovi una moglie.


È così che per Victor Frankenstein - già reclutato da Sir Malcolm per studiare in maniera scientifica il vampirismo e premunirsi nel caso, una volta ritrovata, Mina debba essere curata dal morbo - inizia il supplizio ed egli diviene vittima di varie ossessioni che lo condurranno all'abuso di morfina: la Creatura che pretende una compagna e il rimorso per aver osato troppo, racchiuso nel verso dell’Adonaïs di Shelley: “No more let Life divide what Death can join together” con il quale il medico tenta di confidare i propri drammi al vecchio maestro Abraham Van Helsing.


Colin Clive in "Frankenstein" di Whale (1931)
Peter Cushing in "La maschera di Frankenstein" di Fisher (1957)
Harry Treadaway interpreta Victor Frankenstein

Harry Treadaway

Nato a Exeter (UK) il 10 settembre 1984. Attore televisivo, cinematografico e teatrale, ha al suo attivo partecipazioni ad alcuni lungometraggi come “Brothers of the Head” (2005), “Control” (2007) e “The lone ranger” (2013). Prima di “Penny Dreadful” lo vediamo in film fantasy e horror come “Ember – Il mistero della città di luce” (2008), “Cockneys vs Zombies” (2012) e nella serie TV “Afterlife” (2006).



Calibano, la Creatura di Frankenstein: la solitudine abissale dell'Uomo, le domande sull'esistenza, il bisogno di amore

Se nella vicenda Victor prende il posto di Dio, diciamo che per questo nuovo Adamo, plasmato dalla carne umana un attimo prima della putrefazione, non è certo stato preparato un Paradiso Terrestre. Il “primogenito” di Frankenstein è una Creatura disperatamente sola, che dall'esistenza riceve solo dolore, almeno finché non incontra un vecchio attore, Vincent Brand, che, oltre a dargli il nome di Calibano (di nuovo Shakespeare, La Tempesta) lo arruola come tutto fare del teatro nel quale lavora, il Grand Guignol.

Qui Calibano vive nel backstage come il personaggio dell'opera di Leroux (Il Fantasma) impara la vita degli uomini dalle scene e legge tanta poesia: una ricetta sicura per votarsi all'insuccesso. Insuccesso che arriva puntuale quando, fraintendendo la gentilezza di un'attrice, Maude, scambia per amore l'offerta di un'arancia (in sostituzione della mela che causò la caduta dei nostri biblici progenitori) e viene cacciato (a malincuore) dal suo piccolo “paradiso” dallo stesso Vincent.


È a questo punto che Calibano, nuovamente esule e pieno di rabbia, incomincia a perseguitare il suo Creatore ed essendo un estimatore del poeta John Milton, non può che recitare la parte che nel poema miltoniano è quella di Lucifero. Ecco perché, per vendicarsi di “Dio” (Victor) farà quello che il Serpente fece nell'Eden: donare la morte alla creatura prediletta, l'Uomo (Proteus).

 
Lon Chaney in "Phantom of the Opera" di Julian (1925)

Il coreografo Michael Clark interpreta Caliban in "Prospero's Books" di Greenaway (1991)
 
La "nascita" della Creatura (Penny Dreadful)
Franz von Stuck, Lucifer (dipinto ispirato a "Paradise Lost" di Milton)
Rory Kinnear nei panni di Calibano (la Creatura)


Rory Kinnear

Nato a Londra (UK) il 17 Febbraio 1978. Attore teatrale, televisivo e cinematografico, è noto per aver interpretato il ruolo dell'agente Bill Tanner nei film di James Bond “Quantum of Solace” (2008) e “Skyfall” (2012) oltre che il detective Nock in “The Imitation Game” (2014), il film sulla vita del matematico Alan Turing. Nessun horror, dunque, prima di “Penny Dreadful”.



Brona Croft: la rivoluzione industriale, la tisi, la nuova Eva

Brona (che, come lei stessa spiega, significa “Tristezza”) è una giovane immigrata irlandese che si è data alla prostituzione per sopravvivere, prima di tutto a un ex-fidanzato violento e poi, una volta arrivata a Londra in cerca di un futuro migliore, per essere stata sostituita nelle sue mansioni di fabbrica da una macchina.

Come lei sono migliaia i proletari ridotti all’indigenza dalla rivoluzione industriale, gente costretta a sopportare massacranti turni di lavoro e a vivere in condizioni malsane, spesso caratterizzate da scarsa alimentazione e povertà. E Brona non è da meno: conduce una vita miserevole, alloggia in una stanza di una locanda del porto, fa colazione con un bicchiere di whiskey ed è ammalata di tisi. 

La tubercolosi che, se non fermerà né gli ardori perversi di Dorian Gray né l’amore di Ethan Chandler, è il morbo che la condurrà sull’orlo della tomba ma non riuscirà a ucciderla: la Morte per soffocamento per mano di Victor Frankenstein, infatti, arriverà prima della Morte per consunzione e per Brona la prima serie si chiuderà così: con la promessa di una risurrezione e (per noi) con una domanda. Il ricordo di Ethan Chandler svanirà nell’oblio, o sarà destinato a ricomparire nella sua prossima esistenza di “nuova Eva”?


Da "La signora delle camelie" di Dumas a "La traviata" di Verdi e "Moulin Rouge!" di Luhrmann. Margherita, Violetta e Satine: la cortigiana, la femme fatale, la tisi.

Greta Garbo interpreta Margherita Gauthier in "Camille" di G. Cukor (1936), film ispirato a "La signora delle camelie" di A. Dumas figlio (1848).

Maria Callas interpreta Violetta ne "La Traviata" di G. Verdi (prima esecuzione 6 marzo 1853)


Nicole Kidman interpreta Satine morente di tisi fra le braccia di Christian (Ewan McGregor) in "Moulin Rouge!" di Luhrmann (2001)

Billie Piper interpreta Brona Croft



Billie Piper
Nata a Swindon (UK) il 22 Settembre 1982. Cantante fino al 2003, ora si dedica solo alla recitazione. È nota per aver interpretato i ruoli di Rose Tyler nelle serie TV “Doctor Who” (2005-2013) e Belle in “Diario di una squillo per bene” (2007-2011). Nessun horror prima di “Penny Dreadful”.



Ethan Chandler: coraggio, lealtà e... luna piena

Non dovete cercare un uomo, ma una bestia” [5] dice sir Malcolm all’ispettore di polizia che sta indagando su alcuni orribili delitti che insanguinano Londra come ai tempi di Jack the Ripper [6] e nei quali le vittime vengono trovate smembrate e mutilate.

Una bestia? Ma come? Cosa c’entra la bestia adesso? Forse Sir Malcolm intendeva dire che il Vampiro che ha rapito la sua cara Mina è una bestia … Ma allora perché, ogni volta che il misterioso assassino ritorna a colpire, la scena del crimine assomiglia a una carneficina tutto sommato poco vampiresca?

Un altro indizio sul fatto che probabilmente negli omicidi non c’entrano né il vecchio Jack e nemmeno il Master Vampire ma qualche altro mostro, lo riceviamo anche dall’incontro che Sir Malcolm, Vanessa, Sembene ed Ethan Chandler fanno allo zoo di Londra dove, prima di catturare l’esca messa apposta lì per loro dal Nemico, i quattro incrociano un branco di lupi e – guarda caso – l’unico a entraci in “confidenza” è il bell’americano. Sarà perché Ethan e la bestia hanno lo stesso colore d'occhi o perché l'uomo tende la mano all'animale, fatto sta che al secondo sguardo i due sembrano riconoscersi tanto che il capobranco smette di ringhiare, gira i tacchi e se ne va tranquillo, seguito dai gregari.


Ma non basta: di Chandler sappiamo che sta fuggendo dalle conseguenze di qualche marachella piuttosto grave, presumibilmente commessa in patria, alla quale il papà sta cercando di porre rimedio per evitargli la forca. Cosa avrà mai fatto di tanto terribile da costringerlo a cambiare continente?
D'altro canto, il nostro Ethan, oltre che virile e affascinante, è anche un uomo coraggioso e leale e non riusciamo a immaginarlo nei panni di un bandito qualunque. Insomma, il mistero su quale sia il suo lato oscuro è davvero grosso e si infittisce ancor di più quando l'uomo rivela un ulteriore e inatteso aspetto: la propria bisessualità.

Già, perché se nel suo cuore c'è Brona, fra le sue braccia, complice la fatina verde dell'assenzio, in una scena che rimanda a quella della seduzione di Mina da parte di Dracula nel film di Coppola, per una notte entra anche il bel Dorian.

Insomma, Ethan Chandler è l'uomo coraggioso e leale ma, allo stesso tempo, selvaggio e imprevedibile, come la natura che ci portiamo dentro e che, nel suo caso, si manifesta soprattutto con la luna piena. Lo vedremo trasformarsi in lupo solo nell'ultimo episodio (un lupo mannaro americano a Londra) e... chissà quali meraviglie ci riserverà la seconda serie!

"Murders in the Rue Morgue" ("Il dottor Miracolo", 1932) di R. Florey, liberamente tratto dalla novella omonima di Edgar Allan Poe (1841)
"An american werewolf in London" ("Un lupo mannaro americano a Londra", 1981) di J. Landis
Josh Hartnett interpreta Ethan Chandler

Josh Hartnett

Nato a San Francisco (USA) il 21 Luglio 1978. Attore e produttore cinematografico, ha iniziato la sua carriera nella pluripremiata serie TV “Cracker” (1993-1995), proseguendo poi in numerosi film, anche horror, come “Halloween 20 anni dopo” (1998), “The Faculty” (1998), “Il giardino delle vergini suicide” (1999), “Sin City” (2005), “Black Dahlia” (2006), “30 giorni di buio” (2007). 




Per vedere questo saggio pubblicato in forma di articolo su La Tela Nera, fai clic qui.